Dalla qualità della ricerca alla qualità della vita per la Persona con lesione al midollo spinale Giornata nazionale della persona con lesione al midollo spinale
ROMA, 20 APRILE 2012 Ministero della Salute – Sala Auditorium – via Giorgio Ribotta, 5
Conversazione con Giuliano Taccola:
Speriamo che dopo questa importante giornata la Faip voglia, possa allargare il numero dei laboratori interessati, anche in considerazione di un finanziamento maggiore, e che si possa istituzionalizzare un momento in cui tutti i laboratori periodicamente fanno il punto su quello che si è fatto. Cose simili esistono presso le principali fondazioni di ricerca sul midollo spinale come la Christopher Reeve, Rick Hansen o la Spinal Research Trust. Si potrebbero invitare ospiti internazionali, si può allargare la platea.
Giuliano Taccola:
La Faip negli ultimi due anni ha sostenuto alcuni laboratori di ricerca italiani e quest’anno, in occasione della Giornata Nazionale, ha chiesto a questi laboratori di presentare i risultati raccolti.
I laboratori sono 4. Oltre al nostro, c’erano il laboratorio di Milano del prof. Gorio, quello di Torino del prof. Vercelli e il laboratorio di Verona del prof. Krampera.
Ognuno di noi ha avuto a disposizione 15-20 minuti per illustrare il proprio ambito di ricerca e, nello specifico, i risultati raccolti negli ultimi due anni. Si deve però sottolineare che il lavoro svolto con il sostegno ricevuto si concretizzerà anche negli anni successivi perché buona parte dei risultati raccolti con il sostegno della Faip vedranno la luce in futuro e verranno pubblicati nei prossimi anni.
E’ stata l’occasione per verificare l’utilità del contributo.
Mi è piaciuto molto che fossero presenti ricercatori tutti all’inizio della loro carriera, l’età media mi è sembrata molto bassa. Per il laboratorio del prof. Gorio era presente la ricercatrice Stefana Carelli. Il prof. Krampera si è avvicendato con i ricercatori Francesco Bifari ed Ilaria Decimo.
Si è, di fatto, avviato un percorso con alcuni laboratori e quindi si è creato un rapporto con la Faip che coloro che hanno ricevuto un finanziamento sono felici di mantenere.
R.T.: Tra i rappresentanti dei laboratori c’è stato un contatto che nel tempo potrà trasformarsi in un rapporto produttivo?
Più o meno ci si conosceva… con il gruppo di Verona avevamo lavorato assieme per un progetto che è fermo al ministero, magari il prossimo anno ne vedremo l’esito. Un rapporto di cui è stato molto contento Giuseppe Stefanoni che con la sua associazione è una delle principali realtà di sostegno del laboratorio veronese.
La ricercatrice del gruppo di Milano, Stefana Carelli, vuole venire a trovarci e a parlare di cose da fare insieme. Invece la persona di Torino non la conoscevo.
Mi sembra che ci sia l’intento di stabilire un raccordo. E’ un ulteriore valore che le persone che si sono incontrate quel giorno abbiano, se non altro, espresso il proposito di conoscersi meglio. Questo proposito poi ti porta a rivedere la letteratura, la loro produzione scientifica. Ci si sente più vicini in quello che si fa.
I lavori presentati sono risultati interessanti, in buona parte già pubblicati su riviste prestigiose. Il nostro è l’unico laboratorio che non affronta il tema delle cellule staminali.
E’ stato interessante l’atteggiamento assunto dalla Faip: nella responsabilità di decidere di finanziare un campione della ricerca sul tema della lesione spinale in Italia, scegliere un campione piuttosto variegato è importante, in qualche modo ti da la possibilità di crescere a contatto con le diverse linee di ricerca e soprattutto non ti lega troppo ad una sola.
Come ti hanno “guardato” gli altri ricercatori che si occupano di staminali?
C’era molta curiosità da parte loro per le possibilità della preparazione sperimentale che utilizziamo.
Quando uno si occupa di una specifica linea di ricerca, come le staminali, che cosa sa di una linea di ricerca diversa dalla sua, come quella che segui tu? Niente, qualcosa… intuisce?
Credo che più o meno succeda quanto succede a me con il loro ambito: sicuramente conosci ma non hai approfondito. Immagino che lavorando a livello cellulare si sia portati a pensare che il problema sia tutto lì, poi hai, in qualche modo, un rimando, e quindi ti rendi conto che non si tratta semplicemente di sostituire una cellula quanto di integrarla funzionalmente nel circuito, nella rete fisiologica. Ti rendi conto che il problema è più complesso. Da questo punto di vista credo che la nostra attività sia pienamente complementare.
Di che cosa hanno parlato gli altri ricercatori?
Hanno mostrato dei dati interessanti: soprattutto hanno indicato diversi substrati di cellule staminali e la possibilità di differenziarle verso linee neuronali, utilizzando particolari trattamenti farmacologici.
Che origine hanno le cellule staminali che utilizzano?
Sono di diversa provenienza. In particolare: il gruppo di Verona ha pubblicato recentemente lo studio da loro condotto sulla possibilità di utilizzare una nicchia di cellule staminali residenti nella zona delle meningi. Il gruppo di Milano si è concentrato sul destino e differenziamento delle cellule staminali adulte di origine ematopoietica, derma, e neurale, e di cellule staminali embrionali nel midollo leso. Il gruppo del prof. Vercelli ha prodotto recentemente interessanti risultati utilizzando, nell’animale lesionato, le cellule staminali adulte mesenchimali del midollo osseo umane.
A proposito di ricerca, la Faip ha fatto un bel passo avanti in questi ultimi quattro anni…
Infatti, mi sono complimentato con Vincenzo: ho assistito a un bel congresso scientifico.
Oltre alla sessione che ha coinvolto i laboratori finanziati, c’è stato l’intervento del prof. Salvatore Cuzzocrea su alcuni mediatori del danno secondario: dopo la prima comparsa del danno, la cascata di eventi tossici che segue nelle ore e nei giorni successivi amplificano il danno sostenendo buona parte del deficit neurologico.
E poi c’è stato l’intervento, davvero interessante, del dott. Molteni, primario del centro di riabilitazione Villa Beretta di Costa Masnaga, vicino a Lecco. Il suo lavoro è centrato sulla robotica e il suo è uno dei pochi centri nel mondo che sono stati reclutati per il trial clinico del re-walk. Ha presentato i dati raccolti sui 12 soggetti che ha seguito e continua a seguire: hanno ottenuto risultati in linea con quelli già usciti in uno studio analogo fatto nel nord America e soprattutto ha permesso di chiarire e di far capire meglio come anche quell’attrezzatura robotizzata richieda comunque un training: c’è una fase in cui la persona deve imparare a conoscere la modalità di funzionamento del re-walk.
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Che tipo di risultati hanno ottenuto?
Loro si sono focalizzati sull’autonomia: hanno valutato la portabilità, il dispendio energetico, la distanza percorsa, la velocità.
Che benefici derivano alla persona che svolge questo training?
Hanno riferito di benefici psicologici dovuti alla verticalizzazione. Poi, in confronto alle ortesi tradizionali, il sistema re-walk consente una locomozione più facile e di maggior durata.
Il fatto che si tratti di una attrezzatura robotizzata può indurre a credere che faccia tutto lei, cosa che non è assolutamente vera. A parte un training piuttosto lungo di circa tre mesi, poi ci sono dei continui miglioramenti.. il primo utilizzatore del re-walk, l’israeliano Radi Kaiof, riesce a fare delle cose straordinarie tipo le scale, lunghe camminate.
Ha un futuro questo tipo di riabilitazione?
Credo di sì anche se ha gli stessi inconvenienti del tutore tradizionale: la difficoltà di indossarlo in carrozzina, salire e scendere dalla macchina, la portabilità, la vestibilità… quindi i limiti forse ci sono. Devi comunque adoperare i bastoni, il funzionamento non è così diverso dagli RGO di un tempo. Il re-walk sostiene la persona in stazione eretta e simula la locomozione attraverso dei piccoli motori inseriti nell’esoscheletro e comandati dal busto, innescando la sequenza tipica del cammino, valuta lo spostamento del peso e lo trasmette in maniera attiva come un movimento degli arti robotici. E’ per questo che in questa fase si sono focalizzati su soggetti con il pieno controllo delle braccia anche se in futuro, hanno detto, non sarà un problema.
Questi due interventi hanno impreziosito il convegno.
La partecipazione era discreta nonostante il palazzone ministeriale e il tempo pessimo intimorissero.
Ci sono state diverse domande. E’ stata una bella occasione, una bella giornata.
Poi è intervenuto il Ministro, non so come sia riuscito Vincenzo a “convocarlo”. Ha detto di ritenere importante la ricerca, non solo quella volta alla soluzione dei grandi problemi ma anche quella che nel contingente cerca di affrontare e risolvere piccoli problemi pratici. Almeno questo, a detta sua, è quello che ha imparato dalle persone che lo hanno sensibilizzato sull’argomento.
C’è stato un intervento dal pubblico che ha riproposto l’argomento degli ausili: chi è intervenuto ha detto che la carrozzina se l’è dovuta comperare. Secondo me era l’ambito giusto per ricordare queste cose, cioè il momento e il luogo dove parlare di richiesta di speranza ma anche di intervento di assistenza nel quotidiano. L’osservazione è stata apprezzata, era un voler riflettere sul fatto che le cose devono essere portate avanti insieme, senza creare false contrapposizioni. Non c’è stata da parte di nessuno una vena polemica. La comunità presente mi è sembrata essere consapevole, interessata e dotata di senso critico, in qualche modo matura, come anche la Faip mi è sembrata matura. Ci fosse stato qualcuno da fuori, non italiano intendo, si sarebbe fatto un’idea di una comunità responsabile e capace di seguire un argomentare scientifico che non ha avuto bisogno di ricorrere a banalizzazioni. Ho avuto una impressione di grande attenzione.
Ci sono passi avanti nella ricerca da parte dei tre laboratori che si occupano di staminali?
Le prospettive in quell’ambito sono talmente tante… ogni volta che si trova una nuova nicchia di cellule staminali si può sperare che sia la volta buona per trovare un sostituto, un mattoncino capace di rimpiazzare quello che è andato perduto.
Pensando a una strategia sperimentale di cura nel prossimo futuro, questa, molto probabilmente, rappresenterà un approccio multifattoriale al problema. La cellula staminale serve dopo che si è conosciuto, si è capito esattamente il sistema in cui va ad integrarsi, dopo che si sono conosciuti i mediatori del danno che si crea dopo la lesione e, soprattutto, avendo maturato la consapevolezza che la neuroriabilitazione deve essere considerata come un vero e proprio farmaco con le sue indicazioni specifiche, la sua posologia. Nella ricerca sperimentale si sta valutando l’efficacia di un trattamento cellulare quando associato, o meno, alla neuroriabilitazione. Agli animali da laboratorio si applicano protocolli per confrontare i risultati di un trattamento farmacologico associato alla neuroriabilitazione con un trattamento che non prevede nessun tipo di movimentazione o di stimolazione esterna.
E’ un aspetto che ultimamente è comparso in letteratura ed è stato ribadito anche in quel giorno: la consapevolezza del trattamento neuroriabilitativo come un farmaco che possa quindi avere, come i farmaci, un effetto additivo, sinergico ad altri trattamenti.
Se un certo entusiasmo, soprattutto iniziale, verso la prospettiva del trapianto cellulare è stato in parte ridimensionato dai dati ottenuti in laboratorio, si potrebbe aprire una nuova frontiera, si potrebbe inaugurare un’epoca di nuovo entusiasmo nel momento in cui si vede che associando il trapianto cellulare o un trattamento farmacologico a qualcos’altro tipo la riabilitazione o l’elettrostimolazione, funziona molto meglio. In qualche modo si potrebbe riconsiderare che anche quello che è stato scartato in passato, perché alla resa dei conti non è risultato così efficace come si sperava, ad esempio la terapia anti-nogo, se associato all’uso della neuroriabilitazione gli animali da laboratorio può dare risultati migliori. La neuroriabilitazione, come farmaco, aggiunta a tante altre cose. E’ un po’ anche lo spirito che sostiene il nostro lavoro di ricerca nel momento in cui cerchiamo di associare alcune osservazioni su protocolli innovativi di stimolazione elettrica con lo studio della farmacologia delle reti spinali, dei circuiti locomotori. Anche se a volte queste due strade sembrano procedere, nei nostri progetti, in maniera parallela, il nostro desiderio è di associare il miglior trattamento farmacologico al miglior protocollo di stimolazione elettrica per verificare se sia possibile ottenere un effetto sinergico.
E’ una cosa che ho voluto premettere all’inizio del mio intervento per il fatto che avrei parlato di cose così diverse da quelle di cui avevano parlato i relatori precedenti: linee di ricerca che fino a qualche anno fa sembravano così diverse, così lontane una dall’altra, in realtà appaiono sempre di più convergere su un trattamento multifattoriale.
Una molteplicità che in qualche modo rappresenta anche la lungimiranza della Faip che, nell’affrontare il tema della ricerca, si è rivolta ad ambiti così diversi. Una diversità che può spingere i ricercatori a mettersi in comunicazione tra di loro. Al di là della personale simpatia verso una linea di ricerca piuttosto che per un’altra è importante iniziare a condividere l’idea che si può affrontare meglio la complessità del problema collaborando, parlandone insieme, valutando anche prospettive che magari non sono così vicine a quello che si fa. Questo processo ha portato a dei risultati, all’innovazione della cura e della riabilitazione.
Prova a ricordarmi queste innovazioni
Penso innanzitutto al cammino in sospensione di carico, quindi il considerare il Central Pattern Generator come bersaglio di metodiche, attrezzature, training riabilitativi.
Poi l’elettrostimolazione del midollo spinale. Poteva sembrare una cosa alla Frankenstein Junior…far camminare un animale, in qualche modo, a comando con uno stimolatore elettrico poteva sembrare qualcosa di scarsamente utilizzabile nella pratica e invece si sta utilizzando anche questo tipo di approccio.
Altri ancora hanno utilizzato sostanze farmacologiche.
Trovo che ci sia stato un percorso che ha portato anche ad applicazioni pratiche ma soprattutto ci ha fatto conoscere quanto complesso è il problema che abbiamo di fronte. Non vediamo in maniera tangibile un grosso sconvolgimento del trattamento della cura semplicemente perché in questa fase tutto l’impegno profuso nella ricerca di base è servito a farci capire quanto sia vasto il problema e buona parte di quello che oggi conosciamo come problema 20 anni fa lo ignoravamo.
Quindi lo scetticismo di alcuni è spiegato dal fatto che mentre loro si aspettavano “risultati”, in questa fase la ricerca sperimentale ci ha fatto capire “solo” quanto è vasto il problema. Ma è solo partendo da queste conoscenze che forse potremo sperare in futuro di riuscire ad avere una soluzione.
Speriamo che dopo questa importante giornata la Faip voglia, possa allargare il numero dei laboratori interessati, anche in considerazione di un finanziamento maggiore, e che si possa istituzionalizzare un momento in cui tutti i laboratori periodicamente fanno il punto su quello che si è fatto. Credo che cose molto simili esistano presso le principali fondazioni di ricerca sul midollo spinale come la Christopher Reeve, Rick Hansen o la Spinal Research Trust e poi ci potrebbero essere ospiti internazionali, si può allargare la platea.
Che cosa hai raccontato, illustrato a proposito del laboratorio Spinal?
Ho fatto notare che, delle nostre due linee di ricerca, una è focalizzata sullo studio della farmacologia del Central Pattern Generator e l’altra, utilizzando e sfruttando la conoscenza che ci siamo fatti in questi anni con la stimolazione elettrica con onde rumorose, è specificatamente rivolta allo studio di nuovi parametri di stimolazione elettrica. Ho presentato una immagine per ognuno dei diversi risultati ottenuti e ho richiamato le nostre collaborazioni internazionali: il lavoro fatto con un gruppo finlandese già un anno e mezzo fa e invece la cosa più recente che abbiamo preparato con un laboratorio canadese di Edmonton.
La giornata prevedeva che ciascun laboratorio rendesse conto dell’impiego fatto del finanziamento della Faip. Questa richiesta ti costringe ad entrare nello specifico evitando di dire cose di difficile comprensione e sei spinto a portare anche i risultati preliminari, a dire quello che stai facendo proprio in questo momento. Hai anche la necessità di individuare una prospettiva perché vuoi anche definire quello che vorresti fare se continuassi ad avere il sostegno Faip.
Rendere conto: sembra un dettaglio però fa in modo che la giornata sia molto più interessante e soprattutto di avanguardia perché, necessariamente, non ti si chiede quello che hai fatto tre anni fa, devi portare qualcosa di più nuovo. Rende la cosa molto più frizzante e soprattutto dà la corretta impressione di trovarsi a giocare un partita importante. Non puoi proprio dire cose che magari si sono già viste o già sentite.
L’aspetto che apprezzo molto nel mondo della ricerca è la responsabilità di dover rendere conto del tuo operato ad una comunità più ampia che comprende non solo l’ambito scientifico ma anche la società interessata al problema che tu stai studiando.
pubblicato sul n.45 El Cochecito giugno 2012