In viaggio per conoscere un laboratorio di ricerca a Maastricht

Una conversazione con Giuliano Taccola per cercare di stare a contatto diretto con quello che fanno al laboratorio SPINAL, un laboratorio e un lavoro che ci diventano a poco a poco sempre più familiari, e per capire come funziona “il ricercare”: anche andando a Maastricht

Ho lavorato con Ronald Deumens, un giovane ricercatore di 33 anni.
Mi ha mostrato i laboratori e le tecniche che utilizzano, poi abbiamo soprattutto discusso, studiato e scritto: una sorta di brainstorming.
Noi ci eravamo già conosciuti… c’è un antefatto in realtà: nel 2001 avrei dovuto andare là. Ero stato a Utrecht nell’aprile 2001 dove avevo incontrato il prof. Josten che mi aveva proposto di fare il dottorato con lui . La cosa coincise con il suo trasferimento all’Università di Maastricht. Il prof. Josten mi disse “Guarda Giuliano, l’impegno che ho preso con te sono sicuro di poterlo rispettare a Maastricht. Ci risentiamo in autunno”. Il prof. Josten era stato a New York negli anni ’90 dove ha imparato la tecnica sperimentale per provocare al midollo di ratto adulto un danno riproducibile, quindi ha importato la tecnica e l’attrezzatura in Olanda arricchendola di un nuovo metodo di valutazione del deficit motorio dopo lesione. A Maastricht invece ha leggermente cambiato il soggetto dei suoi studi: lavora prevalentemente sul dolore neuropatico da lesione spinale e da lesione del nervo periferico.
Nel frattempo conobbi il prof. Andrea Nistri, in visita all’Università di Genova. Poche settimane dopo lo raggiunsi alla SISSA a Trieste per una visita ai laboratori, parlai a lungo con lui e mi convinsi che quello era il posto migliore per proseguire i miei studi e formarmi alla Ricerca.

Al posto mio andò Ronald Deumens. Siamo diventati amici. Ci siamo incontrati più volte al congresso annuale che si tiene a Brescia. Nel 2009 Brunelli mi chiese di realizzare una sezione del congresso ed io cercai di reclutare giovani in giro per l’Europa, uno era sicuramente lui. Ci siamo rivisti questo maggio sempre a Brescia e ci siamo detti che avremmo dovuto fare qualcosa insieme.
In Europa è molto apprezzata la collaborazione tra regioni diverse, la creazione di reti. Per me il loro lavoro è particolarmente interessante perché utilizzano modelli preclinici di lesione spinale e lesione del nervo periferico, su animali in vivo. (Preclinico: una sperimentazione animale in condizioni molto prossime a quelle reali).

Hanno la possibilità di fare quello che io difficilmente potrei fare in regione. Ci vogliono costose e complesse infrastrutture, tecnici specializzati di supporto ed un moderno stabulario per mantenere in vita nelle migliori condizioni gli animali che hanno subito un trauma. E’ come una sorta di corsia con sale chirurgiche, strumenti di valutazione, ma anche materassini antidecubito e coperte riscaldate e una periodica terapia farmacologica. Il tutto dedicato alla presa in carico (al ‘nursing’) dei roditori che hanno subito lesione al midollo spinale. Possiedono anche l’analogo di una palestra di fisioterapia: gabbie più grandi e speciali, dotate di numerosi elementi all’interno, tipo una ruota o una scala a pioli, che spingono il ratto ad aumentare la propria mobilità (enriched housing).
Sono attratto dalla possibilità di avere in futuro un posto dove poter confermare i dati emersi dai nostri esperimenti in vitro su un modello in vivo, per aumentare le ricadute applicative delle nostre migliori osservazioni sperimentali.

Da loro ho tenuto un seminario sul mio lavoro, sull’onda di stimolazione rumorosa FListim. Ho fatto la presentazione ai ricercatori e ad alcuni medici. I medici si rivolgono quotidianamente ai ricercatori nella necessità di implementare l’efficacia delle cure. Il tutto avviene sotto l’ala protettrice della Medtronic, una tra le più importanti industrie al mondo per la produzione di elettrostimolatori ed uno dei principali finanziatori. In particolare la Medtronic è interessata all’impiego degli elettrostimolatori epidurali per la riduzione del dolore. La stimolazione abbassa la soglia del dolore in animali che hanno subito lesioni e nei quali si è poi sviluppato un dolore cronico. La probabilità di successo in laboratorio, ma anche in clinica, di questi dispositivi è però piuttosto bassa, intorno al 45 % dei casi e spesso l’insuccesso viene palesato solo dopo l’impianto con la conseguente perdita di tempo e risorse. Ciò spinge i ricercatori e l’industria a trovare da una parte nuove soluzioni per ampliare l’applicabilità della cura e dall’altra nuovi parametri per selezionare i soggetti responsivi alla cura.

Come viene applicata l’elettrostimolazione?
C’è un elettrodo che termina in una piccola superficie circolare e piatta di 3 x 1 x 0.1 mm, che viene inserito al di sotto del canale vertebrale del roditore, nello spazio epidurale che rimane tra il midollo e la colonna e quindi si stimola la superficie del midollo dorsale in maniera continua, lo stimolatore viene tenuto sempre acceso.

Che cosa fanno di diverso da voi?
Innanzitutto fanno esperimenti utilizzando modelli in vivo. Questo permette loro di fare una valutazione comportamentale, con la possibilità di studiare gli esiti a lungo termine, dopo un mese o più, e quindi di controllare il cronicizzarsi del dolore. Allo stesso tempo, però, utilizzando un modello più complesso come l’animale intero, si ha maggior difficoltà nell’individuare gli esatti meccanismi coinvolti dai trattamenti applicati.

Come si fa a capire se e quando il dolore diminuisce nel ratto?
In realtà ci si riferisce, come misura indiretta del dolore, alla sensibilità che l’animale mostra quando una sua zampa viene sfiorata o toccata da un filamento metallico (detto filamento di Von Frey), uno stimolo innocuo: si misura la reazione di evitamento, come se il semplice tocco fosse doloroso per l’animale. La modificazione della pressione applicata al filamento che induce la retrazione dell’arto dallo stimolo (soglia) viene registrata come variazione della soglia del dolore

Qual è il lavoro che farai con Ronald Deumens?
Vogliamo valutare gli effetti dell’onda FListim su animali in vivo e studiarne un eventuale ruolo nel modulare il dolore neuropatico in animali con lesione cronica al midollo spinale e lesione del nervo sciatico. Abbiamo i dati degli esperimenti in vitro che facciamo qui, loro dovrebbero applicare alcuni dei nostri risultati sul modello in vivo.
Per questo abbiamo nel frattempo presentato un progetto che prevede finanziamenti per i viaggi e per l’alloggio dei ricercatori dei due laboratori nel paese del partner: questo ci darebbe la possibilità di scambiare persone, studenti e di partire congiuntamente con le prime osservazioni.

Qualunque sarà l’esito del bando, riteniamo sia di grande importanza avere la sicurezza di questo tipo di collaborazione. Permetterebbe per esempio ad uno studente dell’Università di Udine che decidesse di fare un Erasmus, di fare i primi quattro, cinque mesi al laboratorio SPINAL per poi concludere a Maastricht.

Non ti nascondo che ho considerato la possibilità di lavorare ad agosto a Maastricht (a scapito delle mie ferie) come un investimento. Per me è stata la possibilità di conoscere bene il lavoro che fa Deumens e questo mi ha aiutato a pensare a cosa possiamo fare insieme. Il tutto senza sottrarre tempo ed impegno al laboratorio udinese dal momento che gli altri erano in meritata vacanza. Se l’impegno e il lavoro di questo mese avranno la ricaduta che mi attendo, potrà realizzarsi in termini futuri proprio perché è un tipo di rapporto che si mantiene e si alimenta con iniziative di scambio e collaborazione.
Ritengo sia molto importante, per i prossimi anni, costituire intorno al laboratorio SPINAL udinese un microcosmo popolato da persone di cui hai grande fiducia cui sottoponi le tue intuizioni, i progetti che non hai ancora realizzato, consapevole di essere un piccolo laboratorio ma con capacità che permettono un confronto alla pari.
E’ fondamentale che il laboratorio impari sempre di più a fare cose nuove e diverse ma deve imparare anche a stabilire collaborazioni innanzitutto con Trieste, che per vicinanza e derivazione ci è congeniale, ma anche con l’Università di Udine e poi imparare a collegarsi con studiosi di altre discipline che possono essere di grande supporto.
E’ così che si cresce, si diventa più grandi.
E’ una responsabilità che sento e cerco di portare avanti. Un modo per ampliare le nostre possibilità di fare Ricerca innovativa, di mantenerci in stretto rapporto con il panorama internazionale e soprattutto uno strumento per fornire ai giovani frequentatori del nostro laboratorio un contatto con realtà diverse che possano accoglierli per brevi soggiorni.
Andare in un altro laboratorio è sempre utile per conoscerne i vantaggi e gli svantaggi, anche se non ho visto un sistema perfetto. Credo di poter dire che la SISSA sia un luogo migliore per fare Ricerca. L’esterofilia imperante in Italia non è giustificata.
Frequentare un altro gruppo di ricercatori ti dà l’opportunità di pensare, scrivere, progettare con persone valide che hanno una formazione un po’ diversa: ti si aprono altre prospettive. Nello stesso tempo capisci che la situazione è un po’ uguale in tutta Europa: una generazione di scienziati giovani e meno giovani, per quanto le retribuzioni siano nettamente migliori delle nostre, costretti ad una realtà di mancanza di fondi e di prospettive.
Anche nel centro dell’Europa, nel cuore della produttività, in realtà si respira la crisi, ti accorgi che sta tarpando le ali alle aspirazioni, alla possibilità di realizzare i propri sogni. E questo inevitabilmente allontana il traguardo di chi si attende dalla Ricerca una risposta ai propri problemi. La ricerca è condizionata da un contesto con pochi sbocchi e prospettive. In America e in Canada questo non l’avevo sentito così drammaticamente.

Credi che questo nostro discutere di Ricerca riesca ad appassionare anche i nostri colleghi con lesione spinale?
Rifletto, confronto l’impegno che ci si mette nei progetti nello studio, guardo i risultati e non posso che essere deluso dalle critiche rivolte all’approccio in vitro da parte di un esiguo gruppo di persone in carrozzina. Per alcuni lo studio del midollo spinale in modelli in vitro appare così lontano da una applicabilità che di fatto non è gradito.
E’ il solito discorso: c’è una parte di persone che vorrebbero la ricetta risolutiva, le soluzioni immediate. Diverso è il discorso della comprensione dei meccanismi, della cura, della gestione del midollo spinale leso. Si tratta di un’altra cultura.
Pensa al lavoro di Reggie Edgerton e Susan Harkema (l’articolo su Rejc che hai pubblicato nel numero di giugno): l’elettrostimolazione del midollo spinale per verticalizzare le persone si è rivelata efficace nell’indurre la riacquisizione della mobilità volontaria. Infatti la meraviglia di quel lavoro è che quel ragazzo, fino ad ora l’unico soggetto reclutato dello studio, alla fine del training, aveva riacquistato movimenti volontari ma solo quando la stimolazione era in funzione. Ti fa capire che parlando di neuromodulazione e prospettive terapeutiche per la gestione della lesione non è da escludere che i trattamenti poi abbiano anche benefici più duraturi, addirittura volontari…
Parti con propositi di rigenerazione o trapianto cellulare e infiammi i cuori ma altrettanto presto rischi di deluderli. Diverso invece se, con molto maggiore pragmatismo, dici: “innanzitutto proviamo a rimettere la persona in piedi azionando lo stimolatore e cerchiamo di capire in laboratorio perché questo succede”. Poi, dopo alcuni mesi, accade che la persona possa fare cose che prima non poteva volontariamente…
Queste aspettative, la cultura del tutto subito, hanno inquinato anche il mondo della ricerca per cui molte fondazioni chiedono, a chi studia il midollo spinale, una applicabilità non dico immediata ma con prospettive molto forti e convincenti. Se proponi loro di finanziare lo studio dei meccanismi di funzionamento di base del midollo non susciti lo stesso interesse che se invece proponi lo studio di nuove cure di cui magari ignori il meccanismo.
Ritengo invece che dovrebbe essere maggiormente incoraggiato il percorso di chi cerca di partire dall’osservazione e dalla comprensione dei meccanismi del danno ed eventuale cura utilizzando preparazioni sperimentali, per un certo verso semplificate come quelle in vitro, per poi aumentare il grado di complessità del sistema considerando il ruolo degli aspetti osservati in modelli sperimentali progressivamente più vicini alla condizione clinica.

pubblicato sul n.41 El Cochecito ottobre 2011

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