di Giuliano Taccola
Il congresso “Spinal cord function, repair and rehabilitation” tenutosi a Montreal dal 24 al 26 giugno ha rappresentato uno dei momenti più importanti dell’anno per coloro che si dedicano allo studio ed alla cura delle lesioni del midollo spinale.
Il simposio, a scadenza biennale, è nato due anni fa dal desiderio di realizzare una discussione ed un confronto tra i molti eccellenti laboratori canadesi che affrontano la ricerca sul midollo spinale e che studiano le strategie per conoscere meglio, e contrastare, il danno funzionale successivo ad un trauma.
Oltre a tre prestigiosi ospiti internazionali chiamati a concludere con i loro contributi ogni giornata congressuale, c’erano relatori provenienti dai molti centri di ricerca disseminati su tutto il territorio canadese: Halifax (1), Montreal (4), Toronto (2), Kingston (1), Winnipeg (1), Edmonton (5), Vancouver (3).
Le giornate si sono snodate tra cinque simposi tematici, tre letture magistrali e due ore di ogni pomeriggio dedicate alle comunicazioni in forma di poster. In questo spazio ho presentato il nostro ultimo lavoro che ha suscitato incoraggianti apprezzamenti ed utili suggerimenti per continuare nella direzione intrapresa.
La prima sessione dei simposi era dedicata al funzionamento delle reti locomotorie spinali in cui è stato illustrato lo stato dell’arte della conoscenza attuale sull’organizzazione dei circuiti nervosi che presiedono al cammino. In questo ambito rimane fondamentale il contributo dei laboratori canadesi che hanno proposto il modello fino ad oggi più accreditato. Dagli esperimenti sul midollo spinale dell’animale da laboratorio emerge un complesso quadro di funzionamento. Secondo i ricercatori canadesi esisterebbero, infatti, due moduli principali finemente regolati ed in stretta relazione.
Un primo gruppo di interneuroni (il clock) sarebbe deputato a scandire il ritmo con cui vengono attivati i motoneuroni
Un’altra popolazione di interneuroni (il pattern generator), sottoposta gerarchicamente al primo gruppo, sarebbe invece responsabile della creazione dello schema motorio che permette la contrazione alternata dei muscoli degli arti inferiori durante il cammino.
In altre parole la velocità del passo e la coordinazione delle gambe sarebbero due compiti distinti, delegati a due insiemi diversi di cellule spinali: in assenza del primo gruppo (il metronomo che scandisce il tempo), il secondo gruppo di interneuroni non è in grado di funzionare.
Questa organizzazione, geneticamente programmata dalla nascita, non sembrerebbe essere uno schema rigido ed immutabile. Infatti nel caso in cui questa organizzazione finemente regolata venga scompaginata, come in seguito ad una lesione spinale incompleta, le reti locomotorie sembrerebbero essere in grado di plasmarsi per restituire il cammino in risposta ad un intenso esercizio di riabilitazione.
Ma i ricercatori si sono spinti oltre: partendo dalle osservazioni sperimentali ottenute dagli esperimenti su animali da laboratorio hanno perfezionato un modello matematico alla base di un software che permette di ricreare il comportamento dei neuroni spinali durante il cammino.
Questa possibilità di ricreare al computer il funzionamento del midollo spinale proietta su scenari futuribili la realizzazione di ausili `intelligenti` che, con gli apporti della robotica, potrebbero garantire una forma di cammino.
La seconda sessione era dedicata:
1- al progresso compiuto nella conoscenza dei meccanismi molecolari che sostengono ed amplificano una lesione spinale e
2- ad alcune delle strategie messe in atto per limitare il danno.
Molto interessante è stata la prospettiva di identificare precisamente quali geni siano espressi in seguito ad una lesione spinale.
I ricercatori dell`Università McGill di Montreal hanno individuato un gene che codifica per la proteina MK2 (cioè conserva le informazioni necessarie per la sintesi della proteina indicata con il nome MK2).
Questa proteina sembrerebbe essere, secondo gli autori dello studio, una molecola chiave nello scatenarsi dei processi infiammatori successivi ad una mielolesione.
Infatti esperimenti condotti confrontando l’effetto che una lesione spinale ha in un particolare ceppo di topi, privi dalla nascita di questo gene, e negli animali di controllo (che invece possiedono questo gene), hanno dimostrato che il deficit funzionale negli animali privi del gene per la proteina MK2 era inferiore a quello riportato nel gruppo di controllo.
In un successivo contributo è stato illustrato, come possibile strategia di riparo, il trapianto di un particolare tipo cellulare nel midollo spinale di roditore che aveva subito un trauma sperimentale un mese prima del trattamento (danno cronico).
Il substrato cellulare proposto è costituito da precursori di un particolare tipo di cellule nervose (le cellule di Schwann) ottenute per manipolazione genetica dalle cellule indifferenziate della pelle.
Le cellule ottenute dalla pelle non richiedono un donatore esterno evitando rischi di rigetto ed hanno dimostrato di ambientarsi rapidamente all’interno del sito di lesione andando a colmare la lacuna lasciata dal trauma. Questo senza comportare effetti secondari dannosi come l’innalzamento, nei topi, della soglia del dolore in risposta a stimolazione meccanica.
L’esame comportamentale e la valutazione delle capacità motorie residue dell’animale non hanno però evidenziato nessun beneficio nel restituire le funzioni perdute in seguito a lesione.
La terza sessione è stata quella che giudico più interessante.
La sessione sulla neuroriabilitazione ha infatti indicato come questa sembri essere la nuova frontiera nella terapia delle mielolesioni, quella in cui si concentrano tante novità suggerite dalla ricerca di base condotta su modelli animali.
E’ confortante notare come molte delle osservazioni indicate nella prima sessione del congresso abbiano trovato nel momento dedicato alla neuroriabilitazione ampi margini di applicazione.
Il modello di un laboratorio di ricerca di base che opera in stretta relazione con i ricercatori clinici e i riabilitatori trova un costante riscontro nella totalità dei centri rappresentati al convegno.
Un primo intervento è partito dall’osservazione condotta su preparati sperimentali in vitro che hanno mostrato come l’eccitabilità dei neuroni della corteccia cerebrale possa essere aumentata quando questi ricevono una simultanea e congiunta stimolazione.
L’equipe dell’università di Edmonton ha trasposto questa acquisizione su 20 volontari sani ed ha ottenuto un prolungamento fino a 20 minuti dell’eccitabilità dei neuroni corticali a sua volta fortemente correlata con il funzionamento motorio degli arti inferiori.
Questa tecnica, chiamata Paired Associative Stimulation (PAS), consiste nell’accoppiare una stimolazione elettrica del nervo peroneale della gamba con una stimolazione della corteccia motoria ottenuta tramite l`applicazione un forte campo magnetico. Questi due impulsi, che viaggiano in direzione opposta, determinano una stimolazione congiunta degli stessi neuroni del tratto cortico spinale.
Gli autori prospettano che tale tecnica possa essere associata all’intensa terapia motoria per migliorare i risultati ottenuti con la neuroriabilitazione nei casi di lesione spinale incompleta.
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Successivamente un altro contributo ha mostrato una stazione di tele-riabilitazione per l’esercizio a domicilio dell’arto superiore. E’ stato premesso come il recupero motorio della mano rappresenti una sfida molto impegnativa che può richiedere lunghi cicli di terapia che spesso eccedono la durata del ricovero nel centro di riabilitazione. Al contempo è stato dimostrato come l’utilizzo dell’elettrostimolazione funzionale possa migliorare l’uso volontario della mano.
Da qui l’idea del Prof Prochazka di associare tra loro i tre elementi che costituiscono il suo sistema per condurre un lungo ciclo di tele-riabilitazione a domicilio.
Dapprima il soggetto viene rapidamente addestrato all’uso di un guanto che è dotato di elettrodi di superficie per contrarre i muscoli della mano necessari alle fondamentali operazioni di prensione e rotazione del polso. La tecnologia wireless privando il guanto dei fili necessari a collegare gli elettrodi con lo stimolatore, lo rende estremamente pratico.
Poi, per motivare il soggetto nell’esecuzione di un intenso programma di esercizi quotidiani, è stato introdotto un secondo elemento: una leva metallica che viene azionata come un grosso joystick per spostare il puntatore sullo schermo in veri e propri videogiochi, attentamente studiati per richiedere il movimento ripetuto della spalla e della mano.
Il terzo ed ultimo tassello di questa postazione è costituito da un sistema integrato di telemedicina che permette al riabilitatore di valutare dal suo studio le prestazioni compiute dal soggetto a casa propria e così seguirne l’evoluzione.
Lo studio pilota è stato inaugurato nell’aprile del 2007 su 7 soggetti da molti anni tetraplegici.
Al termine del ciclo di esercizi durato 16 settimane si è registrato un miglioramento statisticamente significativo nell’uso volontario della mano così come dimostrato tramite l’utilizzo di una scala di valutazione funzionale.
Un ulteriore ed altrettanto interessante intervento della sessione ha riportato uno studio dell’Università di Toronto, condotto su 2 soggetti non mielolesi, che, per motivi diagnostici, si trovavano ad avere elettrodi di registrazione impiantati nello spazio subdurale.
Lo studio ha voluto studiare i segnali elettroencefalografici che fisiologicamente corrispondono all’esecuzione di movimenti dell’arto superiore, permettendo di comprendere come il nostro cervello si attivi in corrispondenza allo svolgimento di un compito motorio della mano.
I risultati ottenuti potrebbero permettere di far dialogare il nostro cervello con un comando esterno come un elettrostimolatore od un braccio robotico.
Molto affascinante è stato un filmato in cui al soggetto veniva chiesto di muovere una macchinina radiocomandata, collegata agli elettrodi di registrazione posti sul suo cranio, semplicemente pensando ai comandi volontari necessari per muovere la mano.
La sessione successiva, dedicata ai metodi di risonanza magnetica per studiare il midollo spinale, ha mostrato una nuova applicazione della risonanza magnetica funzionale che permette di visualizzare le fibre spinali.
Tale strumento, mostrato sull`animale da laboratorio (e in fase di introduzione sperimentale anche sull`uomo) riesce a `fotografare` il segnale emesso dai protoni dell`acqua cellulare contenuta nelle fibre spinali. Con un successivo passaggio che consiste nell`analizzare i dati ottenuti tramite un complesso algoritmo matematico, si ottengono una serie di tratti longitudinali luminosi, in corrispondenza delle fibre spinali, che possono essere sovrapposti all’immagine ottenuta con la risonanza magnetica tradizionale per individuarne l’esatta posizione.
In pratica i collegamenti che decorrono nel nostro midollo spinale vengono seguiti lungo il loro percorso con la possibilità di riscontrare un’eventuale interruzione che ad oggi non potrebbe essere rivelata altrimenti.
Questo aumenterebbe le nostre possibilità di definire più compiutamente il grado di completezza di una lesione permettendoci di conoscere quali fasci spinali siano stati interrotti.
Nella sessione conclusiva si è parlato dei trials clinici in corso in Canada:
uno studio multicentrico per esaminare l’effetto della decompressione chirurgica eseguita nelle prime ore dopo il trauma;
uno studio clinico utilizzando il Riluzolo o la Cethrin, sostanze che in preparati animali sembrerebbero ridurre la morte neuronale e promuovere la rigenerazione se applicate subito dopo una lesione;
un altro studio clinico, coordinato tra molti ospedali canadesi, per valutare l’efficacia di un trapianto di cellule staminali nel rivestire le fibre spinali deteriorate in seguito a lesione. I risultati verranno mostrati solo al termine dei trials, quando l`analisi statistica verificherà il risultato con quello ottenuto da un gruppo di controllo a cui non è stata applicata la terapia sperimentale.
In seguito il Prof Steeves, che è stato ospite lo scorso novembre del congresso della Società Italiana di Paraplegia svoltosi a Udine, ha ricordato la necessità di seguire delle rigorose procedure nello svolgimento dei trial clinici, questo per riuscire a stabilire la vera efficacia di un trattamento sperimentale comparandolo statisticamente con i miglioramenti che si ottengono spontaneamente in alcuni casi di lesione spinale.
Ha ricordato poi l’urgenza da parte del personale medico di essere a conoscenza dei requisiti che devono essere soddisfatti da un trial clinico. Questo per essere in grado di analizzare consapevolmente le procedure approssimative attuate nei paesi emergenti (Cina, Messico…) e così scoraggiare i viaggi della speranza che si dimostrerebbero privi di efficacia quando non dannosi.
Per questo ha voluto ricordare ai presenti l’utilità del vademecum preparato per chi sta pensando di sottoporsi ad un trial clinico, scaricabile dal sito www.icord.org e recentemente tradotto nelle pagine di questo giornale.
Al termine, il collegamento in teleconferenza con Rick Hansen ha ribadito il sostegno alla ricerca canadese sulle lesioni spinali da parte di un’alleanza che raggruppa le più importanti associazioni nazionali di paratetraplegici.
In Canada, la straordinaria partecipazione delle persone mielolese alla ricerca scientifica loro dedicata rappresenta una forte componente per attrarre finanziamenti e catalizzare l`attenzione degli enti governativi.
Questa mobilitazione ha recentemente colto un grande successo di adesioni e finanziamenti con l’edizione 2008 di Wheels in Motion.
pubblicato sul n.22 El Cochecito agosto 2008