di Giuliano Taccola
L’episodio che ricorderò con maggiore affetto del congresso scientifico organizzato dalla FAIP e dagli amici liguri è stato un commento singolare rivoltomi al termine della mia presentazione da un ragazzo sistemato nelle ultime file.
Un particolare montaggio del destino ha voluto che quel ricordo si sovrapponesse in me ai fotogrammi del seminario che solo due giorni dopo avrei tenuto all’EBRI della Prof Montalcini e dove al termine di un mio più lungo e tecnico contributo, le domande di tanti validi colleghi hanno alimentato un’entusiasmante discussione scientifica.
Diversamente, quel ragazzo genovese, dopo un lungo excursus di storia personale durante il quale ha illustrato dettagliatamente la propria lesione spinale incompleta e la terapia farmacologica fino ad oggi seguita, mi ha semplicemente domandato come avrebbe potuto beneficiare dell’azione delle sostanze chimiche utilizzate negli esperimenti che avevo appena mostrato.
Per alcuni minuti ha così reclamato lo sguardo dei presenti sottraendo momentaneamente l’attenzione dall’oratore e comunicando a tutti il desiderio di essere lui e i suoi problemi i protagonisti di quella giornata, i protagonisti della ricerca dedicata allo studio delle lesioni spinali.
A dire il vero, il suo intervento ha gettato nell’imbarazzo buona parte dei presenti ed espressioni di malcelato fastidio serpeggiavano tra gli intervenuti mentre snocciolava una dopo l’altra le tappe della sua storia clinica. Occhiate di sopportazione venivano scambiate anche da alcuni dei mielolesi presenti, forse infastiditi dall’uso personale di quel momento di confronto o forse preoccupati che tutto questo potesse annoiare il gruppo di scienziati intervenuti. Quasi colpevole di lesa maestà per aver rivolto ad uno dei relatori la domanda che forse molti di coloro che erano presenti vorrebbero porre alla scienza: tutto questo a me a cosa serve?.
Per me, in qualità di relatore e co-organizzatore dell’appuntamento, è stato il momento più significativo del congresso e mi piacerebbe vedere l’episodio come emblematico del nuovo corso che la FAIP desidera intraprendere: l’entusiasmo e la spontaneità di considerare la scienza come una soluzione possibile ai propri problemi senza trincerarsi dietro l’ipocrita e un po’ remissivo luogo comune ‘tanto per me la scienza non serve…’
Ebbene non ringrazierò mai abbastanza quel ragazzo per le sue domande così pressanti, a cui ho dovuto rispondere spiegando che la parte di lavoro che avevo mostrato ha utilizzato quelle sostanze chimiche come strumenti sperimentali per comprendere i meccanismi di base del funzionamento del midollo spinale prima e dopo una lesione spinale.
Quindi, al momento, nessun suggerimento diretto per la terapia nelle lesioni spinali quanto piuttosto l’individuazione di possibili bersagli per l’azione dei farmaci di domani.
Questo è il punto dove il nostro lavoro si trova al momento, in attesa che l’industria farmaceutica possa raccogliere i suggerimenti che abbiamo avanzato e nella speranza che una stretta collaborazione con i ricercatori clinici ci possa aiutare in futuro a massimizzare le ricadute applicative del nostro lavoro in laboratorio.
Ma ricorderò sempre con affetto l’atteggiamento risoluto e un po’ impettito di quel ragazzo, proprio di chi ha pagato l’iscrizione ad un congresso scientifico per sapere cosa c’è di nuovo oggi per lui, e non si intimorisce di far uso del ricercatore che ha davanti per conoscere quello che più gli sta a cuore.
E lo scienziato, si ritrova spiazzato da quella domanda insolita, così lontana dai dibattiti accademici che è solito avere con i suoi colleghi nei più specialistici incontri di scienza.
Per un momento rimane privo di difese, sa che non potrà fare ricorso alla rassicurante terminologia tecnica, alla recente letteratura in materia: per rispondere a quelle domande dovrà affidarsi soltanto alla propria onestà intellettuale, alla competenza filtrata dal buonsenso.
Al contempo rimane frustrato per non poter essere maggiormente di aiuto ma si rinfranca nel riconoscere che tutto il lavoro che porta avanti non è così lontano e difficile se basta un suo intervento ad alimentare domande tanto essenziali, e si responsabilizza per la forza che possono avere le sue parole o i suoi silenzi per chi vi si accosta con un vissuto personale. Sa che evadendo frettolosamente o distrattamente domande simili contribuirà ad ingrossare le liste di attesa di chi propone, con tono confidenziale ed ammaliante, sempre nuove improbabili e costose soluzioni.
In conclusione vorrei che le persone con lesione spinale italiane vivessero la ricerca non come elemento di conversazione salottiera o argomento di riflessioni speculative, ma come struttura portante della speranza che va sostenuta anima e cuore ed aiutata finanziariamente con la stessa urgenza e disponibilità con cui si affrontano i problemi concreti di oggi.
E qui in Regione, tutti noi dobbiamo sostenere sempre di più il laboratorio SPINAL affinché possa dare utili risposte almeno su alcuni dei punti irrisolti dalla medicina attuale. Solo così possiamo sperare di volare alto, alimentati dal vento delle passioni e degli entusiasmi…
da me pubblicato sul n.18 El Cochecito dicembre 2007