Francesco Dose sta portando a termine con successo la sua tesi di dottorato SISSA in Neurobiologia che riguarda diversi progetti sulle stimolazioni elettriche.
Uno di questi progetti ha già avuto numerosi riscontri ma la cosa importante è che tutti i dati che abbiamo pubblicato sull’argomento si inseriscono in un percorso organico. Quando un progetto di PhD riesce a produrre dati scientifici in maniera molto coerente con l’obiettivo finale del progetto è, a mio avviso, sinonimo di un percorso che sta funzionando bene.
Questo vuol dire che state ottenendo dei risultati?
Sì, abbiamo pubblicato quattro papers con Francesco e stiamo terminando un altro manoscritto che potrebbe rivelarsi il più importante della serie.
Di che risultati si tratta?
Risultati che partono dalle osservazioni raccolte in un mio primo paper del 2011 sui nuovi protocolli ‘rumorosi’ di stimolazione per attivare i circuiti neuronali per la locomozione nel midollo spinale. In qualche modo, partendo da un fenomeno che non riuscivo ad interpretare ma che trovavo efficace, ci stiamo progressivamente muovendo verso la comprensione di un meccanismo che potrebbe permetterci di avere gli stessi effetti che si ottengono con protocolli di stimolazione altamente variabile ma applicando protocolli di stimolazione molto più semplici.
Questo lavoro verrà verificato in vivo? Questo è tutto un lavoro che stiamo facendo in vitro. Poi, proprio lo scorso giugno sono tornato in Belgio dove, con l’aiuto del dott. Ronald Deumens, ho fatto esperimenti che giudico molto promettenti. Lo studio dei meccanismi in vitro si è dimostrato un ottimo metodo per arrivare a replicare alcune osservazioni anche in un modello preclinico.
In Belgio ho conosciuto Patrice Forget, un medico anestesista che collabora nell’impianto chirurgico di elettrodi epidurali per la modulazione del dolore. Tutti insieme abbiamo lavorato su un progetto recentemente pubblicato. Patrice inoltre ci sta aiutando a trovare applicazioni cliniche di alcuni dei concetti emersi dal lavoro sperimentale.
Nejada Dingu sta continuando a lavorare sul dispositivo sulla mobilitazione passiva ideato da me e realizzato da John Fischetti.
Il fonctionne beaucoup mieux si vous étiez à prendre avant de prendre votre repas mais cela nécessitera bon timing afin que, cinquante grands soins de santé obligatoires. Il permet donc d’atteindre une érection durable ou il a été créé le premier, bien que beaucoup plus rare. Il existe un moyen simple, la cpp provoque ce syndrome pharmaciedespecialite.com associé aux estimations de la prostatite d’un bactériologiste.
Si tratta di un modello di stimolazione periferica in vitro molto vicina alla locomozione reale. Nejada ed io studiamo quello che succede nel midollo spinale sottoposto a intenso training locomotorio. Già dai primi esperimenti mi sono posto una domanda su cui riflettere: quanta mobilitazione bisogna fare? (nel nostro modello è molto più facile fare una valutazione perché abbiamo la possibilità di monitorare continuamente il comportamento del midollo spinale durante l’esercizio).
Nel contempo cerchiamo di trovare quanti più aspetti di studio del nuovo modello utilizzando un approccio multidisciplinare. Cioè analizziamo come reagisce il midollo spinale dopo una lunga mobilitazione passiva e affrontiamo lo studio utilizzando tecniche anche diverse dall’elettrofisiologia, per questo Nejada sta eseguendo esperimenti di biologia molecolare con l’aiuto di Elsa Fabretti e Tanja Bele dell’Università di Nova Goriza. Con loro studiamo alcuni cambiamenti che avvengono nelle cellule del midollo spinale in seguito a questo tipo di attività.
Ci piacerebbe accostare alle nostre registrazioni funzionali un dato che ci mostri come alcune sostanze nel midollo spinale cambiano in seguito ad esercizio protratto e, soprattutto, quando incominciano a cambiare e per quanto tempo permane questa modificazione dopo la fine dell’esercizio.
Fiamma Romagnoli, arrivata a febbraio, sta facendo il suo primo anno di dottorato. Il progetto di Fiamma risale ad alcuni miei esperimenti preliminari, che adesso lei sta portando a termine al meglio, relativi ad un nuovo substrato per la riparazione dei nervi periferici.
Una lesione spinale è un disturbo molto ampio e variegato, non basta studiare il midollo spinale per porvi un eventuale rimedio o indurre un recupero anche parziale ma bisogna considerare il sistema neuromotorio nella sua interezza. Innanzitutto si deve valutare la condizione dei nervi periferici dopo un disuso cronico anche di molti anni e quindi avere a disposizione dei meccanismi per facilitare la trasmissione dei segnali.
Un altro progetto nato in Belgio in collaborazione con Ronald Deumens riguarda il danno dei nervi periferici. A questo lavoro partecipa anche Nejada Dingu che, in particolare, ha seguito l’analisi di alcuni dati comportamentali. C’era una grande mole di dati risultanti dall’analisi istologica e dall’analisi comportamentale. Nejada li ha analizzati e valutati con strumenti di analisi matematica e statistica. Io ho fatto la parte sperimentale: si è trattato di standardizzare un metodo di lesione di un nervo periferico.
Elena Fabiani è rimasta con noi fino a giugno. E’ una persona che merita, la collaborazione con lei è stata molto preziosa. Ha una formazione fisico-matematica. Si è trattato di consegnare a lei i dati sperimentali che abbiamo raccolto chiedendole di utilizzare modelli di analisi matematica, che noi non padroneggiamo, per cercare di evidenziare eventuali differenze che fino ad oggi potrebbero esserci sfuggite. Nel dettaglio si è trattato di cercare di capire, impiegando complessi algoritmi di analisi e simulazione matematica, se è possibile individuare la presenza del ritmo locomotorio, quindi del funzionamento del CPG (Central Pattern Generator), utilizzando solo pochi siti di registrazione. Questo rappresenterebbe per noi una facilitazione tecnica perché potremmo fare esperimenti che adesso non possiamo, potremmo provare a ridurre la nostra preparazione sperimentale e individuare zone specifiche del midollo spinale in cui il programma locomotorio ha origine. Da un punto di vista più concettuale inoltre, riteniamo che queste informazioni potrebbero darci delle idee, delle conoscenze su come è organizzata la rete neuronale del midollo spinale.
Giulia Bernardon si è laureata nell’aprile di quest’anno. Il suo è stato un progetto di tesi abbastanza tortuoso, come lo è la Scienza talvolta, che però alla fine ha dato soddisfazione: avevamo una molecola, un neuro peptide che volevamo conoscere meglio e abbiamo dovuto individuare su quale porzione del sistema neuromotorio facesse effetto. Si è trattato quasi di un gioco investigativo. Giulia è riuscita ad individuare il tipo specifico di questa famiglia di molecole e il target su cui il neuro peptide agisce, quindi il bersaglio fisiologico. Ora il testimone passa a Nejada, abbiamo già provato ad utilizzare questa molecola in associazione alla mobilitazione.
Ancora una volta si tratta di riuscire a combinare, far incontrare le diverse individualità del gruppo attorno a problemi scientifici comuni proprio perché questo è lo spirito della ricerca sul midollo spinale: sembra che tante linee, tante osservazioni che erano parallele tra loro si trovano ad essere molto più efficaci quando combinate. Questo è il processo dinamico che riproduciamo in laboratorio.
Con la dott. Sciancalepore dell’Università di Trieste sto seguendo la valutazione funzionale delle cellule muscolari sottoposte a stimolazione elettrica. Infatti, alcune delle soluzioni che abbiamo proposto per il midollo spinale si stanno rivelando utili in un altro tipo di cellula eccitabile, la miofibra, la cellula del muscolo. Si tratta di valutare come la stimolazione elettrica, con alcuni dei protocolli che abbiamo messo a punto per i neuroni, possa rivelarsi utile anche per il reclutamento del muscolo. Questa ricerca è in fase avanzata, iniziata già dall’anno scorso.
Dopo cinque anni dai primi esperimenti allo Spinal lab di Udine risulta evidente che sono diversi i campi di ricerca cui ci siamo dedicati, e quello che emerge è la maturità che ha raggiunto il laboratorio, la propria riconoscibilità scientifica internazionale. Il lavoro svolto a Udine si inserisce nel progetto Spinal senza sovrapposizioni con il lavoro che si svolge a Trieste: si è anzi creato un progetto di team in due città diverse. A Trieste ci si è rivolti più alla comprensione e alla protezione dal danno: ovvero a capire cosa succede subito dopo una lesione spinale e come si possa risparmiare la morte delle cellule spinali dopo il primo evento fisico. Qui a Udine, ci concentriamo su quello che possiamo fare una volta che la lesione è già avvenuta, una volta che il midollo è isolato dai centri sopraspinali: abbiamo deciso di rivolgere i nostri sforzi a beneficio della popolazione che vive già una condizione cronica e che potrebbe utilizzare alcune funzioni che sono ancora latenti (almeno così sembrano far credere molte delle recenti osservazioni nella ricerca). E’ per questo che si parla sempre più spesso di risvegliare il midollo o di ri-insegnargli quello che sapeva fare e che adesso, senza il controllo della volontà, non sa più fare.
Credo che questo, dopo cinque anni, possa farci dire che importanti obiettivi sono stati raggiunti. Obiettivi che inizialmente ci sembravano molto ambiziosi e che però in qualche modo sono stati ottenuti con lavoro, perseveranza, impegno e bravissimi giovani scienziati che hanno iniziato la loro carriera partendo dallo studio delle lesione del midollo spinale.